L'orgoglio di Paola   Antonio Veretti

Orogliosa e fiera di essere Tua nipote, Illustre

Maestro, Ti dedico questa mia pagina

Antonio Veretti è nato a Verona il 20 febbraio 1900.  A compiuto i suoi studi musicali a Verona  e a Bologna sotto la guida di Guglielmo Mattioli e  Franco Alfano diplomandosi a soli 21 anni.  Ancora studente compose i  TRE POEMI BIBLICI  per canto e pianoforte e Giannotto Bastianelli, noto e severo critico, lo segnala come una futura forza viva  della musica italiana. A Bologna si lega di profonda amicizia con Riccardo Bacchelli e da lui assorbe quelle idee che sono alla base del movimento letterario della Rivista “La Ronda”.

Tornato nella sua nativa Verona  Veretti , su libretto di Bacchelli, scrive la sua prima opera di teatro IL MEDICO VOLANTE, commedia che si propone di creare in musica i perduti   spiriti della Commedia dell’arte. L’opera vince su 18 concorrenti il premio bandito a Milano dal giornale “Ill Secolo”. Dopo aver scritto altre composizioni da camera, Veretti, nel 1928, viene chiamato a Milano da Umberto Fracchia per assumere la critica musicale della Fiera Letteraria. Le sue composizioni in questo periodo risentono di un accentuato gusto per le strutture neo classiche.

Nel  1930 il suo editore Ricordi lo incarica di scrivere  IL FAVORITO DEL RE. Un’opera che viene rappresentata alla scala nel  1932 suscitando un memorabile scandalo, e che viene giudicata la prima “Oper der Zeit” apparsa in Italia.

Dopo un breve soggiorno a Torino, nel 1933, Veretti si stabilisce a Roma dove compose su Commissione del Teatro di S.Remo IL GALANTE TIRATORE  rappresentato la prima volta al Teatro di Sanremo e per commissione del  III°  Festival  Internazionale di Venezia  (1934) una FAVOLA DI ANDERSEN.

Nel 1939 viene eseguita a Venezia la SINFONIA EPICA  riscuotendo un grande successo.

Gli anni della seconda guerra sono anni di silenzio e di raccoglimento. Veretti  rielabora l’opera  IL FAVORITO DEL RE  con il titolo di BURLESCA e nel 1946 scrive  LA SINFONIA SACRA  per coro e orchestra che viene giudicata dalla critica come opera di grande significato. Intanto Veretti  perviene , tramite successivi accostamenti, alla adozione integrale del sistema seriale, pur contemperato con istanze tradizionali soprattutto negli schemi costruttivi.

Appartengono a questo periodo IL CONCERTO per pianoforte e orchestra  , LE QUATTRO POESIE  di Vigolo, L’OUVERTURE DELLA CAMPANA per orchestra e LA SONATA per violino e pianoforte, l’ALLEGRIA su testi di Ungaretti,  I SETTE PECCATI, rappresentati per la prima volta alla Scala, SONATINA per pianoforte, FANTASIA per clarinetto e pianoforte, CONCERTINO per  flauto e pianoforte.

Il lavoro più importante di questo periodo è  I SETTE PECCATI , mistero musicale coreografico rappresentato la prima volta al Teatro alla Scala (1956) . Poi le ELEGIE per canto, violino, clarinetto chitarra. E LA PRIERE POUR DEMANDER UNA ETOILE per coro a cappella e orchestra commissionatoli dall’Accademia Chigiana di Siena  dove fu eseguita con grande successo.

Ultime composizioni BICINIA  per violino e viola, TRE BAGATELLE per violino solo.

Scrisse musiche importanti per film.

Antonio Veretti nel 1942 è stato nominato Direttore di Conservatorio di Stato.

Creò e organizzò, al Foro Italico, il Conservatorio Musicale della Gioventù italiana, nel quale insegnò fino al 1943.

Da…Cronache dal  Palcoscenico

Attualità

 

La finestra sui personaggi / Approfondimenti

Antonio Veretti: trenta anni dalla scomparsa

di Sergio Stancanelli

VERONA - Una ventina d’anni fa il quotidiano "Secolo d’Italia" di Roma aveva pubblicato un mio ricordo di Antonio Veretti. La vedova, Ines Verdi, che abitava a Roma ma era veronese, venuta nella sua città a trovar le nipoti Dina e Paola, mi telefonò e venne a farmi visita. Chiacchierando mi raccontò di quando, si era nel 1946, la Sinfonia sacra attendeva la prima esecuzione, e suo marito apprese che l’Eiar l’aveva affidata ad un certo Leonard Bernstein. "Un americano, un giovane, chissà come me la concerà", disse preoccupato. 

Poi andò alle prove e tornato a casa apparve rassicurato: "È bravissimo, l’ha capita perfettamente, la dirige meglio di come potrei fare io". A questo punto del racconto, misi mano al telefono e chiamai il capo servizio spettacoli del quotidiano veronese "L’arena", ch’era anche il responsabile delle pagine della cultura (la gloriosa Terza pagina era già stata mandata a farsi benedire). "C’è qui da me la vedova di Antonio Veretti: che dici, le faccio un’intervista?", chiesi al mio capo. "La vedova di chi?", rispose quegli. "La vedova di Veretti", ribadii. "E chi è?", mi chiese. Maggior fortuna avrò anni dopo quando, nel ’95, auspice l’addetto stampa Maurizio Pugnaletto, riuscirò a fare inserire nel programma di un concerto diretto da Giuseppe Garbarino nel teatro Filarmonico, la Suite in do, del 1934. L’esecuzione scatenerà un putiferio d’entusiasmo nel pubblico, e il direttore farà bissare dall’Orchestra dell’Arena l’ultimo movimento, "la scatenata Napoletana, pagina di sapientissima costruzione, animata da un sacro fuoco dinamico, una pagina di affascinanti giochi sonori, folta d’echi di danze, girotondi, canzoni, madame Doré, arie di strada, di piazze, di gente lieta e serena". Questo fu il commento di Carlo Bologna, che ancora scriveva: "Del veronese molti anni fa avevamo ascoltato la bella Sinfonia della campana, prima presenza del magnifico compositore nella sua città, ed ora la Suite in do, costruzione di un fascino straordinario", che "ha trovato la grande orchestra impegnata e tesa ad una attenzione concentrata: abbiamo visto finalmente i nostri strumentisti veramente contenti di far musica, tutti dentro la musica, nessuno strumento escluso, poi che c’è impegno e gloria per tutti. Fascino di Veretti, con un dominio assoluto dell’orchestrazione, ricco di colori, di timbri, cantore ampio e interiore, fruitore abilissimo dei singoli strumenti, che diventano volta a volta solisti e concertanti, a due o tre e più voci, con risultati densi di novità e di sorprese (bellissimo il colloquio corno inglese-oboe-fagotto). Veretti è tornato a casa: ora non dimentichiamolo daccapo per anni e anni". Da parte sua il maestro Garbarino al termine del concerto si rivolse al pubblico: "Avete sentito che musiche meravigliose ci sono. Eseguiamole, non lasciamole a tacere sulle mute partiture". Son passati tredici anni, ma, con l’eccezione di qualche Coro messo in programma dal coro Lorenzo Perosi, le partiture di Antonio Veretti hanno ripreso a giacere.
Antonio Veretti nacque in Verona il 20 gennaio 1900 e scomparve in Roma il 12 (è errata la data del giorno 14 che figura sul Dizionario Utet) luglio 1978. Allievo di Franco Alfano e poi influenzato da Ildebrando Pizzetti e da Alfredo Casella, fu "uno dei musicisti più importanti e significativi tra i prosecutori del rinnovamento della musica italiana iniziata dalla generazione dell’Ottanta, operando al séguito della produzione italiana preottocentesca innovata secondo le correnti più avanzate della musica europea" (Antonio Trudu). Fra le sue composizioni ricordiamo Una favola di Andersen, operina frequentemente messa in onda dal Quinto canale della filodiffusione Rai, le sinfonie Italiana ed Epica oltre a quella già menzionata, il Concerto per pianoforte e la Fantasia per clarinetto, e soprattutto le musiche per i film di Marco Elter "Le scarpe al Sole" (1935, non ’37 come si legge sull’Utet) e di Augusto Gènina "Squadrone bianco" (1936), "L’assedio dell’Alcazàr" (1940) e "Cielo sulla palude" (1949).
L’esigenza di cercare vie nuove è già avvertibile nell’opera Il medico volante su libretto di Riccardo Bacchelli, scritta nel 1923-24, prima che venga evidenziata nei lavori successivi, in particolare nel Duo per violino e piano, nella Sinfonia sacra e nell’opera Il favorito del re (su libretto di Arturo Rossato, rappresentata in Milano nel 1932). La svolta decisiva avviene intorno agli anni Cinquanta con l’adozione del metodo dodecafonico: ciò che non ha implicato l’abbandono dell’inventiva melodica, come dimostrano l’opera I sette peccati, forse il suo capolavoro, e il coro Prière pour demander une étoile, "anche quando a conclusione del suo itinerario estetico-stilistico si accostò al divisionismo weberniano".
Altresì pianista e didatta, fu critico musicale su "La fiera letteraria", fondò nel Foro Mussolini (oggi Italico) il Conservatorio musicale della Gioventù italiana del littorio dove insegnò sino alla caduta del regime fascista, e nel dopoguerra fu chiamato a dirigere i Conservatorî di Pesaro, di Cagliari e di Firenze. In quest’ultima città presiedette l’accademia nazionale Luigi Cherubini; fu accademico di Santa Cecilia e delle Filarmoniche romana e bolognese. Di lui scrisse Giorgio Saviane: "Era un maestro anche in letteratura. Coltissimo, grande lettore, avevamo in comune l’interesse anche per l’arte: amava la pittura e l’architettura. Mi insegnò ad ascoltare la musica dodecafonica. Con modestia parlava dello sperimentale in musica, che per lui era momento di progresso”.

La vedova, che mi onorò della sua amicizia, e cui resi visita insieme con la signora Sironi, sindaco di Verona, in occasione del suo centesimo compleanno, è scomparsa nel 2003. Poco tempo prima mi aveva rilasciato due interviste, che col consenso del Direttore - la seconda è inedita - proporrò a "Gli amici della musica".